Quale il destino della Moda dopo il Coronavirus?

Si ricorrerà allo streaming per le sfilate? Gli stilisti conteranno qualche collezione in meno e la pandemia ispirerà quelle che verranno? Le modelle saranno sostituite da avatar?


Anche in questo caso la moda ha confermato di viaggiare sempre un in anticipo rispetto a tutti lanciando il primo campanello d’allarme per il Coronavirus. Non a caso, durante la Fashion Week di Milano di febbraio la presenza di buyer asiatici era pari alla metà della precedente e “Re Giorgio”, aveva organizzato la sua sfilata a porte chiuse. Sembrava allarmistica l’analisi che prevedeva un impatto negativo di cento milioni di euro sul settore e invece…. 

Con l’ultimo provvedimento del Governo italiano che prevede la chiusura di tutte le attività produttive non essenziali per dare ancora maggiore spinta alle misure di contenimento indispensabili per sconfiggere l’emergenza Coronavirus, possiamo dare per scontato che il sistema moda italiano, (e non solo) da questa situazione subirà un radicale cambiamento. Potremo contare su un miglioramento ma soltanto a patto che vi sia un dialogo costruttivo tra tutti gli attori e da questo atteggiamento nascano decisioni coraggiose.

Fermarsi non per imposizione ma per un senso di responsabilità

Sono state rinviate al 2021 le olimpiadi di Tokyo, fermato il campionato italiano di calcio per una stagione e l’NBA ha deciso la chiusura dei campi di allenamento alle trenta squadre, perché mai la Moda, per il suo bene non dovrebbe metabolizzare il salto di una stagione?

Si dice che i grandi della moda italiana stiano redigendo un documento, che sancisce proprio la proposta di un fermo comune nella produzione delle collezioni primavera estate 2021, per consentire alle aziende di riprendersi e scongiurare un sicuro calo in picchiata delle vendite dovuto all’isolamento forzato. Dobbiamo essere consapevoli che la crisi del retail, è purtroppo in agguato: le collezioni primavera estate 2020, invendute in giacenza e che al momento non possono essere acquistate nei negozi, potrebbero arrivare a raggiungere una percentuale pari al 55%. In crisi anche la vendita online a causa della scarsa attitudine degli italiani a questa tipologia di acquisto e per le difficoltà dei corrieri.

Su questa ultima problematica, è interessante riflettere sul Modello-Cina, i grandi retailer online come TMall (di proprietà di Alibaba), Secoo e JD.com, inaugurano il live streaming con i brand del lusso che rivendono sulle loro piattaforme. Nei negozi chiusi al pubblico i venditori si trasformano in assistenti virtuali, per uno shopping online che si trasforma in un’esperienza articolata e su misura.

Come si procederà allora?

Varie le ipotesi avanzate anche se quella più originale è riproporre la primavera estate 2020 come la primavera estate 2021: tutto sommato si tratta di collezioni già ideate e prodotte, oltre che acquistate e distribuite e, considerata la difficoltà mondiale allo smaltimento del tessile, la cosa può essere positivamente riconducibile a un concetto di sostenibilità.  

Esprime i suoi dubbi (sempre al Corriere) Ho letto sul Corriere della Sera, che Tomaso Trussardi sul merito di queste indicazioni ha espresso tutta una serie di perplessità. L’imprenditore ha dichiarato: “in passato abbiamo ricamato dei vecchi jeans e li abbiamo riproposti, ovviamente dichiarandolo, ma il magazzino è cassa, appena possibile deve essere smaltito: insieme al ricondizionamento di una parte della merce ora nei negozi, si possono posticipare i saldi di due mesi e immaginare uno sconto minore durante il Black Friday per recuperare un po’ di incasso”.

Secondo Tombolini, invece, proprio la primavera estate 2020 “deve diventare la stagione numero uno di un nuovo calendario gregoriano della moda, generando quello spazio di almeno 5 mesi per alleggerire il sistema”.

Perché la pandemia è giunta in un momento storico in cui la moda non potrebbe essere più satura, con un numero infinito e crescente di collezioni, capsule collection e drop lanciate dai grandi marchi nel tentativo di accontentare ogni richiesta possibile del mercato, e i piccoli brand che soffocano tra richieste pressanti e sistemi di produzione arretrati nella burocrazia.

Per il resto, soltanto Dio sa come andrà.

Nicola Paparusso – Responsabile Relazioni Esterne Accademia Mario Foroni e Docente di Sociologia della Moda)